venerdì, marzo 31, 2006

OGM – Informazione Geneticamente Modificata (Cap 1)

Mi capita spesso di constatare, discutendo con persone sul tema OGM, la difficoltà (per me in primis) di avere un'opinione adeguata in merito, mancanza per la quale, oltre all'attenzione del consumatore, sono indubbiamente complici una TV ed una Stampa che non aiutano di certo a chiarire le idee. Data invece l'enormità di informazioni presenti sulla rete (a cui delego ogni possibile delucidazione, basta andare su un motore di ricerca e scrivere OGM, ci perdereste una giornata!), voglio, con questa prima parte, esaltare le posizioni dei due schieramenti contrapposti: i "pro" e i "contro".

Secondo la Direttiva 2001/18/CE dell'
Unione Europea sul rilascio deliberato degli OGM nell'ambiente, essi sono così definiti: "un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale"

A questo punto si potrebbe obbiettare: “ma non è forse vero che fin dagli albori dell’agricoltura l’uomo ha sempre incrociato piante tra loro per migliorare l’efficienza delle coltivazioni? Abbiamo da sempre OGM!”. Tale obiezione, peraltro legittima, si scontra col fatto che finora l’uomo ha potuto incrociare piante compatibili tra di loro e genericamente appartenenti alla stessa specie, mentre con gli OGM possiamo dare ad un seme una parte di corredo genetico di una specie totalmente diversa, ad esempio di un pesce, per tentare di renderlo resistente a taluni contaminanti: un tipo di interazione così estrema tra elementi così lontani di cui non è possibile cogliere le conseguenze a lungo termine.

Tale manipolazione, secondo le multinazionali produttrici nonchè una parte della categoria scientifica (come ad esempio Channapatna Prakash, famoso biologo molecolare dell'Università di Tuskagee, negli USA, che sfida gli ambientalisti di tutto il mondo in difesa delle biotecnologie agricole), permetterebbe di affrontare più efficaciemente problematiche umanitarie: "Nelle zone in cui c'è una povertà diffusa, un clima non favorevole o un terreno povero, gli interventi tecnologici sono indispensabili. L'unica alternativa possibile è dipendere dai sussidi dei governi". Dunque gli OGM si presterebbero ad essere coltivati in condizioni proibitive apportando particolari nutrienti (come una patata transgenica che, dal 2%di proteina nel tubero normale, sarebbe passata al 15%).

Esistono d'altra parte persone che come Vandana Shiva, fisica quantistica e ambientalista indiana, dalle pagine del Sole 24 ore dichiara “chi afferma che senza Ogm e prodotti chimici non si sconfiggerà mai la fame, dice falsità" evidenziando come "un terzo dei cereali coltivati nei paesi poveri, anziché sfamare la gente, sfama gli animali che daranno carne ai paesi ricchi, e che una distribuzione equa delle risorse alimentari porterebbe cibo là dove si soffre e si muore per fame, verrebbe da pensare che forse la soluzione della fame nel mondo non è così impossibile da realizzare" (fonte Lifegate 17/01/05)

Lo scetticismo sulla questione OGM viene evidenziato da istituzioni (come il Parlamento Europeo o come la Svizzera, che il 27/11/05, attraverso un referendum, ha bandito per 5 anni gli OGM dalla propria agricoltura), gruppi ambientalisti (come Greenpeace), scienziati (come nel caso di Dr. George Wald, Premio Nobel per la Medicina nel 1967) e associazioni consumatori, i quali sottolineano come la mancanza di prove di dannosità non sia sufficiente a garantirne la non dannosità ("l'assenza di prove non è prova di assenza" diceva Carl Sagan, uno dei maggiori astrofisci del 20°secolo).

È saggia tale precauzione oppure è invece più proficuo dare cieca fiducia ad una manipolazione che per alcuni rappresenta già l'alimentazione del futuro?

Discutiamone.

Fine Prima Parte

domenica, marzo 26, 2006

Clima Mondiale: Noi Protagonisti della Ricerca

Quando si parla di cambiamento climatico (quelle poche volte che lo fanno su stampa e TV), c’è come la sensazione che i danni che stiamo producendo attraverso l’effetto serra, malattie, innalzamento dei mari, siano danni che dovremo subire senza poter farmare il nostro processo di autodistruzione.

Ma prima di rifugiarsi nella rassegnazione, c’è da studiare e capire ancora molto per stabilire che margini vi siano per salvare il pianeta terra dal Global Warming: "salvare" signori non è un termine troppo grosso dato che la scienza dice che ci stiamo ammalando sempre di più a causa dell’inquinamento e che entro 80 anni, continuando così, perderemo città di valore mondiale come Londra e Venezia (Fonte Science del 24/03/06)
Permettiamo a questi scienziati di lavorare. E di capire come salvarci. Ma come?

La BBC sta proponendo un esperimento, concepito da numerosi climatologi mondiali e seguito dalla Oxford university, utilizzando il modello climatico “Met Office” dell’Università della California. Tale modello è in grado di elaborare tutti i dati raccolti, da milioni di anni a questa parte, riguardanti l’evoluzione climatica della terra, elaborazione che ha bisogno di miliardi di calcoli al secondo per ottenere i risultati sperati nel più breve tempo possibile. Lo scopo dell’esperimento è proprio quello di confrontare la nostra situazione al passato ed in previsione futura, onde stabilire le modalità ed i tempi limite entro i quali dovremmo agire per invertire o quantomeno tamponare il processo di riscaldamento.

E qui entriamo in gioco noi. Scaricando un software apposito dal sito della BBC, permetteremo al nostro PC, senza alcun impegno da parte nostra, di eseguire calcoli propri e compararli con quelli dei ricercatori e di milioni di persone al mondo sotto la supervisione degli scienziati: tali dati forniranno un modello quanto più oggettivo del nostro futuro. Il programma è gratuito e fa tutto da solo, noi dobbiamo solo scaricarlo e attivarlo: i calcoli potranno poi essere, man mano che procedono, visualizzati con lo screensaver associato al software, che ci permetterà partendo dal 1920, di seguire tutta l’evoluzione climatologica della Terra fino al 2080.

Ciò di cui necessita l’esperimento è ovviamente un collegamento ad internet ( per permettere al programma di scaricare i dati su cui lavorare, dati che occuparenno solo 700-800MB circa per tutta la durata dell’elaborazione), 512MB RAM e un processore Intel Pentium 4 a 1.6GHz: una configurazione minima molto modesta (ovviamente in configurazioni migliori il tenpo di lavoro si siduce!). Inoltre non dovremmo tenere acceso il PC più di quanto non facciamo normalmente e possiamo staccare il programma per poi riattivarlo quando ci va.
Non esiste alcun vincolo.

Io ho cominciato l’esperimento circa 2 settimane fa e ho tradotto dal sito della BBC tutte le spiegazioni e le risposte alle problematiche più comuni: per qualsiasi chiarimento scrivete un commento sul blog dove vi aggiornerò periodicamente sulla mia esperienza col software e risponderò prontamente ai vostri quesiti.

Aiutiamo la Scienza ad aiutarci: buona sperimentazione a tutti!

mercoledì, marzo 22, 2006

Economia Italiana – Italia vs Argentina 1-1

La cosa più inquietante dell’attuale campagna politica non è tanto il folklore dei protagonisti, quanto l’esasperata incongruenza di opinioni sulla reale situazione economica italiana: se da una parte si sostiene la complessiva crescita, dall’altra si preannuncia l’apocalisse biblica.

Non riuscendo a sbrogliare la matassa (le matasse italiane sono sempre più aggrovigliate delle altre…) ho demandato una possibile valutazione economica del nostro paese ad un articolo del Financial Times del 17/3/06: testata estera che spero anche lontana dalla tendenza tutta nostrana di attuare un’informazione di parte quanto meno oggettiva possibile (e se l’Italia, per libertà di stampa, è stato definito "paese semilibero", un motivo ci sarà).

Ecco a voi alcuni spunti riportati dalla traduzione (accanto a considerazioni personali), spunti che denotano un’allarmante analogia dell’attuale crisi italica col crollo dell’economia Argentina:

Mario Draghi, governatore della Banca Centrale d'Italia, avverte che l'economia italiana è in periodo di prolungata stagnazione, con un crollo economico paragonabile a quello dell'Argentina degli ultimi anni '90. Draghi riconosce tale somiglianza quando asserisce che Italia deve migliorare la propria produttività se se vuole invertire questa "corsa al ribasso".

"La somiglianza più impressionante è la rigida collocazione di valuta nella quale entrambe le nazioni si sono chiuse. Come reazione all’iperinflazione degli anni '80, l'Argentina nel ‘91 fissò la sua valuta all'interno del “piano di convertibilità”, nella speranza di costringere il paese ad una bassa inflazione e una maggiore disciplina fiscale".

"Nel simile sforzo di imporre una disciplina macro-economica, Italia abbandonò la lira per l'euro nel ‘99, sperando che, all' alta inflazione e alle svalutazioni periodiche della lira, avesse fatto strada una disciplina fiscale e riforma strutturale. Abbandonando la sua valuta, l’Italia (come l’Argentina) abbandonò la propria flessibilità per stabilizzare l'economia. Un’Italia che adesso non può più prendere parte nelle “svalutazioni periodiche di cambio” per rettificare perdite in competitività internazionale, dovendo inoltre accettare le percentuali di interesse imposte dalla BCE (Banca Centrale Europea) non sempre favorevoli alla nostra nazione".

"Non solo, sotto il "patto europeo di stabilità" l’Italia è obbligata a fortificare le sue finanze pubbliche in un momento attuale di grande debolezza. Come per l'Argentina negli anni '90, le finanze pubbliche italiane sono in una vero caos. Con un rapporto debito pubblico/PIL in eccesso del 105%, Italia la nazione più indebitata dei grandi paesi europei. E con un deficit di bilancio del 4,4%, è in chiara violazione dei criteri di Maastricht".

"Mancanza di competitività internazionale: durante gli ultimi 5anni, Italia ha perso circa 15% di competitività rispetto alla Germania.; Il suo fallimento nel modernizzare le sue industrie e muoversi sulla scala tecnologica, ha reso questa nazione più esposta alla forte competitività cinese".

"E, di male in peggio, nei tre trimestri passati, l'economia italiana ha manifestato il suo evidente stato di recessione (rapporto economico OCSE del 25/10/2005). Sotto il peso di prezzi di petrolio internazionali ed alti, questa recessione è assai probabile che peggiori".

"Come per l’Argentina,, l'unica via d'uscita per l'Italia è ripristinare la competitività attraverso grandi riforme strutturali, specialmente nel mercato del lavoro: riforme che, qualora venissero attuate determinerebbero, nell’immediato, tempi duri e “strette di cinghia” così come accaduto nel paese sudamericano".

"Nello stesso modo in cui l'Argentina fece l'errore di contare sul Fondo Valutario Internazionale per coprire i propri buchi di bilancio (e le conseguenze del suo tracollo sono ben note), allo stesso modo l’Italia commetterà un errore irrimediabile se posticiperà dolorose ma salvifiche riforme di mercato contando sull’indulgenza indefinita della BCE; significherebbe che ancora una volta la storia non ci insegna niente".

L’unica nota di speranza è stata la reazione dell’Argentina post-crisi: dopo un periodo iniziale di sbandamento e confusione, gli argentini si sono imposti un “colpo di reni” che ha permesso un grande rilancio dell’economia portando il PIL ad un rialzo del 9,5%: continuate così, siate un esempio di come dal baratro si possa risalire, attraverso la forza di volontà collettiva.

Prendiamo esempio, almeno una volta, da queste storie.

venerdì, marzo 17, 2006

Petrolio Caput Mundi - Consumatore in fundo (Cap 3)

Il petrolio si è ormai piazzato in maniera preponderante nella vita quotidiana della famiglia. A questo proposito mi piacerebbe “quantificare questo peso” pubblicando i dati offerti dall’ASPO (associazione mondiale che studia la disponibilità e l’esaurimento dei combustibili fossili):
  • Il 40% di tutta l’energia primaria mondiale viene dal petrolio
  • Il 90% di tutta l’energia usata per i trasporti viene dal petrolio
  • Il 65% del petrolio viene usato per fare carburanti

Situazione in Italia:

  • Costo effettivo di 1 litro di petrolio = 30 Eurocent (prezzi 2005)
  • Costo al consumatore di 1 litro di Benzina = andate a vedere al vostro distributore!
  • Consumo di petrolio annuale medio per una famiglia di 4 persone = quasi 2.000 Euro ai prezzi del 2005

Considerando che lo stipendio medio italiano si aggira intorno ai 1000 Euro mensili (visione ben troppo ottimistica), possiamo dire che due mesi del nostro stipendio annuale sono utilizzati solo per pagare petrolio; valutando poi le cose a lungo termine e con le dovute approssimazioni, significa che 1/6 della nostra vita lavorativa è finalizzata all'acquisto dell’oro nero. Troppo per pensare di non esserne letteralmente schiavi.
Ma chi ci mette realmente queste catene?
I nomi sarebbero molti come pure le supposizioni, ma invece di parlare di dati aleatori mi piace, come sempre, mettere in risalto dati oggettivi, focalizzando con questo post la mia attenzione sull'ENI e su di un altro combustibile fossile, il gas.


L’ENI, il grande monopolio italiano degli idrocarburi, è stato multato recentemente, dall’Antitrust italiano, di 290 milioni di euro per abuso di posizione dominante (agenzia Reuters 15/02/06).
Che significa?

L’ENI, essendo monopolista di un bene essenziale, è soggetto a controllo da parte dello Stato. Immaginate di essere unici distributori di un bene primario come l’acqua: potreste decidere di venderla al consumatore 10cent come 1000 euro: poiché non vi è concorrenza che regola il prezzo, è il monopolista che lo decide. Se invece i distributori sono molti, è il consumatore a sancire il prezzo andando liberamente a scegliere l’azienda col miglior rapporto qualità/costo, una libertà che fa davvero paura a tutti i monopolisti, di qualsiasi bene si tratti.

Si capisce bene l’importanza di un controllo statale garante della corretta valutazione dei prezzi, controllo che negli ultimi anni, a seguito dell’aumento delle tariffe e dell’inefficenza dell’approvvigiamento energetico italiano, aveva stabilito che l’ENI procedesse ad un potenziamento del gasdotto che, attraverso la Tunisia, porta il gas combustibile nelle nostre case. Seguendo la semplice regola economica “a parità di domanda se l’offerta aumenta il prezzo del bene si riduce”, il potenziamento avrebbe aumentato la quantità di gas in arrivo in Italia, con conseguente abbattimento sensibile dei costi per la famiglia italiana.

Ma l'ENI, che a quanto pare ha studiato bene economia, nel 2003 ha deciso di bloccare tale potenziamento, blocco che determinerà una minore disponibilità quantificata in 9,8 miliardi di metri cubi di gas nel biennio 2007/2008, deteminando un aumento delle tariffe; tutto questo in pieno periodo di tagli di gas dalla Russia!!!

Una vera e propria “zappata sui piedi” che ha una sola vittima: il cittadino

Riporto in toto la considerazione, in merito alla questione, di Intesaconsumatori, che raccoglie Adoc, Adusbef, Codacons, Federconsumatori:

“Il rispetto degli impegni da parte dell’Eni per un maggior afflusso di gas algerini e tunisini – dichiara l’Intesa -, avrebbe certamente potuto attenuare la crisi di questa stagione, offrendo maggiori prospettive di stabilità ma anche un raffreddamento di tariffe, tra le più elevate d’Europa. Intesaconsumatori è pronta a costituirsi in giudizio davanti al Tar del Lazio a favore dell’Antitrust nel caso di impugnativa del provvedimento da parte dell’Eni, ma i danni inferti ai consumatori si possono quantificare in almeno 4 miliardi di euro che dovranno essere restituiti alle famiglie italiane per circa 250 euro a testa, direttamente nelle bollette”

Il mancato rispetto delle leggi ha aumentato di 250 euro la spesa energetica della famiglia italiana: moltiplicate 250 euro per gli oltre 21milioni di nuclei familiari (fonte Rapporto Eurispes 2006) e otterrete una cifra spaventosa: con le dovute approssimazioni si parla di 5 miliardi 250milioni di Euro. Non spaventosa, direi abominevole.

Poi l’Eni mi viene a raccontare che nel 2005 ha aumentato il suo utile netto del 25% rispetto al 2004 (fonte Eni.it).

C’è da indignarsi.

giovedì, marzo 09, 2006

Petrolio Caput Mundi – Petrolio fa bene al Petrolio (Cap.2)

Mi scuso per la lunghezza del post ma se avrete la pazienza di leggere verrete a scoprire cose che noi umani neanche possiamo immaginare...

Se mai al teatro avete visto un’opera tragica, vi sarete ben accorti che all’interno del dramma del protagonista, qualcuno (in genere il “cattivo”) che trae beneficio da quel dolore c’è sempre. Adesso immaginatevi un altro tipo di dramma, quello ambientale, causato da un effetto serra fomentato dalla combustione del petrolio: i ghiacciai si sciolgono, aumenta il livello dei mari, aumentano i fenomeni estremi (vedi Katrina&C.), aumentano le patologie legate alle particelle carboniose ecc ecc (andate a leggere lo studio del gruppo scientifico MTG Climate e ne scoprirete di peggiori); ebbene anche qui il nostro saggio antagonista, silenzioso e defilato, approfitta della situazione per trarne vantaggio. Come? Adesso ve lo spiego.

Fino ad adesso l’estrazione del petrolio è stata effettuata da bacini fossili molto raggiungibili, la cui trivellazione e installazione dell’impianto fosse alquanto agevole, trascurando ovviamente tutti quegli immensi giacimenti sotterrati da metri e metri di ghiaccio, ai poli del mondo, sicuramente meno a “portata di mano”. Ma adesso che i ghiacci si sciolgono, indovinate un po’, tali immense risorse si stanno rendendo disponibili. Insomma il petrolio, che ha causato lo scioglimento dei ghiacci, ha richiamato altro petrolio. Ed in questa reazione autocatalitica ci si sono piazzati i più grandi colossi petroliferi mondiali, e una tra questi, l’italiana Eni.

Lo sanno bene ad Hammerfest, in Norvegia, che a causa di tale “scongelamento” (Global Warming, in inglese), sono state rese accessibili nuove fonti di gas naturali; difatti l’Oceano Artico è rinomato per contenere almeno 1/4 delle riserve mondiali rimaste inscoperte. Hammerfest, all’interno di un progetto denominato “Biancaneve” (è buffo pensare come diano nomi innocenti a certe cose), permetterà alle lobby del petrolio mondiali di trasferire il prezioso combustibile in USA o Europa centrale, trasferimento, pensate un’ po’, facilitato proprio grazie alla fusione di quei ghiacci che deviavano, fino a non molti anni fa, di kilometri e kilometri le rotte commerciali. Due piccioni con una fava insomma.

Secondo le previsioni rilasciate alla testata Times (tutti i numeri citati sono stati presa da questa fonte, ad indicare l’autorevolezza delle informazioni), si è stimato che il progetto “Biancaneve” apporterà ai fautori ben 49’500 miliardi di euro nei 30 anni della durata della riserva fossile. Sono numeri grossi signori, che fanno gola, davvero troppo grossi per ascoltare la categoria scentifica sostenente che “ la combustione di questi fossili si aggiungerà ai gas serra, il mondo si riscalderà sempre di piu, i ghiacci diventeranno più sottili, e le lobby petrolifere saranno in grado i spingersi ancora piu a nord in cerca di energia”.


E sono davvero troppo grossi per rispettare la vita delle popolazioni locali, ossia 40.000 Sami nella Norvegia del nord e 9.000 Nenets e Khanti del nord della Russia, per i quali la pesca è una fondamentale risorsa vitale. Un incidente di un petroliera o durante l'estrazione del petrolio non solo metterebbe a rischio la ricchezza ittica del mare di Barent, ma minaccerebbe direttamente anche una parte dell'economia delle popolazioni indigene. “Non preoccupatevi” hanno dichiarato le autorità competenti nonché i colossi industriali, “sorveglieremo sulla compatibilità dei lavori di estrazione per rispettare il popolo artico”: al largo delle coste norvegesi, si sono verificati, dal 1990 ad oggi, ben 2.500 incidenti petroliferi (se non si preoccupavano che succedeva?)

Tutto questo è fatto alle nostre spalle signori, senza dirci niente, decidendo già da adesso cosa dovremo consumare nel nostro futuro e in quello dei nostri figli. Quanto ancora ci imporranno di essere parassiti del petrolio? Cosa dovrà succedere per far dissuadere il mondo dalla sua estrazione? Perché l’Italia non si muove rendendosene autonoma?

A proposito di Italia, una piccola nota tutta nostrana: 7giorni fa, al TG1 mi si profilava un “anno ottimo per l’energia italiana”, pensando io, da ingenuo cittadino, che ciò equivalesse ad una minore dipendenza dal petrolio, un minore costo sociale ed impatto ambientale. Poi ho ascoltato il seguito del servizio e mi è venuto d piangere:
L’utile netto dell’ENI è stato di 8,8 miliardi di euro, con una variazione% rispetto al 2004 del ben 25%”. Considerando che siamo in fase recessione (così l'Ocse ha decretato la situazione del nostro paese nel Maggio scorso) ed in piena crisi gas, questo risultato appare ancora più gigantesco.

Ah, dimenticavo vero, l’ENI è un’azienda di idrocarburi. Che ha pure ricevuto una multa dell’antitrust per posizione dominante, e sapete perché?

Ehehe adesso volete troppo, e poi questo post sta cominciando ad essere troppo lungo, un saluto al terzo capitolo dell’Inchiesta “Petrolio Caput Mundi” dove svelerò un' pò di arcani riguardanti l’economia italiana (arcani mica tanto, prendo la maggior parte delle informazioni dalla stampa estera, in Italia abbiamo un' pò di problemi a far girare nei giornali quella brutta parola che si chiama “Verità”).

Fonti principali
www.timesonline.co.uk/article/0,,13509-2034643,00.html
www.eni.it
http://www.gfbv.it/ (Associazione per i Diritti Umani dei Popoli minacciati)
http://clima.meteogiornale.it/Portal (MTG Climate)

venerdì, marzo 03, 2006

Petrolio Caput Mundi – Ghiaccio Bollente (capitolo1)

Le dinamiche indotte dal dominio sul petrolio in questi ultimi anni hanno creato un dissesto che ha interessato tutti i campi della vita umana, da quello ambientale, politico sino a quello economico. Le notizie sullo scioglimento dei ghiacci (indotte dall’aumento della CO2 causata dai combustibili fossili) si fanno sempre più allarmanti così come ancor più allarmante è il disinteresse dell’informazione e della politica, un disinteresse che forse fa comodo a chi ha avrà il destino dell’uomo nei prossimi 100 anni. Ma andiamo per ordine:
  • 17/02/06 Pannir Kanagaratnam della Kansas University e Eric Rignot della NASA pubblicano su Science la situazione dei ghiacci della Groenlandia, ghiacci che si scioglieranno completamente entro il 2060 determinando un aumento del livello del mare di 7mt. Tali dati sono stati confermati dall’Agenzia Spaziale Europea e quella Canadese nonché da uno degli ultimi appelli dell’ONU "Effetto serra, la terra è sull'orlo del disastro"
  • 20/02/06 pubblicate le ricerche di due gruppi di ricerca indipendenti dell’Università dell’Ohio, confermati dallo scienziato Lonnie Thompson, sul completo scioglimento dei ghiacci del Kilimangiaro entro il 2015, ad ulteriore supporto del’innalzamento marino, oltre all'evidente danno naturalistico e culturale mondiale.
  • 02/03/2006 i ricercatori dell’università del Colorado pubblicano si Science una ricerca che conferma la perdita progressiva anche dell’Antartide (polo sud), il cui scioglimnto della sola calotta occidentale determinerebbe un ulteriore innalzamento di 6mt del livello del mare (studi confermati da Isabella Velicogna del CU-Boulder's Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences).
  • inoltre il terzo rapporto pubblicato dall'IPCC, l'organismo scientifico internazionale costituito per lo studio dei cambiamenti climatici, conferma la perdita del 50% dei ghiacci alpini.

Tali dati, confermati dalle autorevoli fonti citate (sfido chiunque a smentirle), sanciranno un cambiamento epocale degli equilibri socio-politici-economici mondiali.

E allora perché non se ne parla. Perché si tace.

Sono notizie degne di una prima pagina di qualsiasi quotidiano mondiale o del primo posto negli ordini del giorno di qualsiasi governo.

Se il tasso di CO2 non è mai stato così alto dagli albori del mondo (vedere i dati dell'ultima Conferenza Mondiale sul clima, a Montreal), perché non si fa niente per bloccare la sua causa? Chi lucrerebbe mai su un cambiamento planetario di questa portata?

Qualcuno c’è, almeno secondo alcuni interessanti spunti presi dalla stampa estera e quasi del tutto omessi da quella nazionale, tradotti da me e SonicSnake.

Il proseguo dell’inchiesta nel secondo capitolo di “Petrolio Caput Mundi”