mercoledì, gennaio 24, 2007

Quel mostro chiamato Turbogas (a cura di Andy Sonicsnake)

Rieccomi qui, di nuovo, ad affrontare problematiche sull’energia. Questa volta tratterò delle famigerate centrali Turbogas di cui tanto si parla in quest'ultimi mesi, le quali sono in progetto anche nella zona in cui io stesso vivo.

Un ottima spiegazione del funzionamento dell’impianto a Turbogas è fornita dal sito “NoTurbogasAprilia”: il gas combustibile viene immesso e bruciato in una camera di combustione, mettendo in rotazione una prima turbina, la quale a sua volta aziona un generatore. Il generatore, infine, produce energia elettrica. Allo stesso tempo, i gas caldi scaricati dalla turbina vengono convogliati in una caldaia, che produce vapore d'acqua ad alta pressione. Il vapore passa da qui in una seconda turbina, che ne sfrutta la pressione per mettere in rotazione un altro generatore, che produce sempre energia elettrica. All'interno di un condensatore, collegato a una torre di raffreddamento, il vapore raffreddato si trasforma di nuovo in acqua, che ritorna alla caldaia.

Passiamo ai danni: per cominciare la Turbogas produce polveri sottili, cause di molte malattie odierne (tra le quali leucemie malattie polmonari, tumori e infarti ecc ecc), innalza la temperatura di alcuni gradi nei pressi di pochi chilometri rispetto all’ubicazione della centrale (provocando evidenti alterazioni del microclima e delle colture), prosciuga le falde acquifere poiché necessita di piu di un milione e mezzo di litri d’acqua al giorno (parliamo di nuovo di danni agricoli oltre che alle famiglie) e produce pioggie acide le quali andranno ad inquinare terra, acqua, cielo e tutte le forme viventi qui presenti.

Da quello che possiamo constatare i danni non si limitano alla salute pubblica: verosimilmente saranno colpiti anche fauna, flora, economia, secondario e terziario (parliamo anche del turismo!) e probabilmente anche il valore dei beni immobiliari limitrofi alla zona di installazione subirà un crollo.

Nella zona in cui vivo si sono già organizzati diversi comitati di opposizione alla costruzione di queste centrali (messe in progetto da qualche tempo), comitati i quali hanno promosso alcune manifestazioni ANTI-Turbogas. Io stesso ho partecipato a una di queste, il 12 Novembre dell’anno scorso con raduno ad Anzio: c’era molta gente, il tutto si è svolto pacificamente, non sono mancati i controlli naturalmente e alcuni Sindaci hanno partecipato, a dimostrazione dell’alta sensibilità nei confronti di questa situazione.

Ogni comitato aveva un particolare striscione per manifestare la propria personale partecipazione, addirittura molte persone sfoggiavano vestiti carnevaleschi come quello della “Morte” o tute anti-contaminazione, chi portava mascherine, maschere anti-gas e chi ne ha piu ne metta. Altri sit-in di protesta avevano già preceduto quello da me descritto e c’è chi giura che continuerano ancora ed ancora finchè il non voluto progetto “Turbogas” non verrà definitivamente abbandonato.

Lieto di aver avuto la possibilità di scrivere di nuovo per Informazione Alternativa, spero che chi ci leggeva prima possa farlo nuovamente e chi invece si avvicina per la prima volta ai nostri articoli possa trovare in questi uno spunto di riflessione.

Andy SonicSnake

30 commenti:

Mandragor ha detto...

Non so ci possa avere incollato nel suo commento tutti questi blog, deduco comunque che è un accanito sostenitore di psicofarmaci benzodiazepinici dato il continuo richiamo allo Xanax. Al di là del vano tentativo di poter far un pò di pubblicità, mi ha dato un ottimo imput per un prossimo post sui farmaci...

ISOLA PULITA ha detto...

IL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA: DELOCALIZZARE LA ITALCEMENTI DI ISOLA DELLE FEMMINE FUORI DAL CENTRO ABITATO A NORMA DELLE DISPOSIZIONI DI LEGGE IN MATERIA URBANISTICA


Interrogazione del Senatore Sodano Presidente della Commissione Ambiente.

Senato della Repubblica
13a Commissione
Territorio, Ambiente, Beni Ambientali



interrogazione a risposta scritta
al Ministro dello sviluppo economico e al ministro della salute
Senato della Repubblica
13a Commissione
Territorio, Ambiente, Beni Ambientali
interrogazione a risposta scritta


al Ministro dello sviluppo economico e al ministro della salute


Premesso che:
- in provincia di Palermo, nel comune di Isola delle Femmine, sono presenti impianti della Italcementi s.p.a in pieno centro città (codice: NACE Code 26.51), che emettono fumi nocivi e producono elevati livelli di inquinamento acustico ed ambientale, con grave danno per i cittadini;
- oltre allo stabilimento nel centro città, la Italcementi si avvale di una serie di impianti, dislocati nel circondario, come quelli dediti ad attività estrattive a Piano Dell’Aia-Rocche di Raffo Rosso ed a contrada Manostalla, comune di Torretta;
- l’area dove opera la Italcementi è stata destinata ad uso industriale con il D.P.R. del 1981 per un ventennio, al termine del quale il cementificio era tenuto a ripristinare la destinazione d’uso a fini forestali e a riconsegnare il terreno alla Regione Sicilia;
- nel 2001, alla data di scadenza della concessione, il Comune di Isola delle Femmine ha concesso un’autorizzazione edilizia per la costruzione di un carbonile a cielo aperto per lo stoccaggio di petcoke (concessione edilizia n. 10/2001 del 5 aprile 2001);
- da quando il cementificio ha iniziato i processi produttivi, si sono riscontrati nell’area fenomeni di inquinamento così gravi da causare ingenti danni alla salute dei cittadini, tant’è che i tassi di incidenza di tumori polmonari, tiroidite, forme asmatiche e di altre malattie respiratorie, anche mortali, hanno raggiunto livelli anomali e preoccupanti;
- il cementificio di Isola delle Femmine opera nelle vicinanze di diversi Siti di Importanza Comunitaria, tra cui la riserva di Capo Gallo e i Fondali marini di Isola delle Femmine, così come individuati dalla direttiva “Habitat” (direttiva 92/43/CE, recepita in Italia con D.P.R. 357/97), incidendo negativamente sugli ecosistemi locali, i quali non vengono dunque salvaguardati come vorrebbe la normativa europea e la legge italiana di attuazione;
- le attività inquinanti della Italcementi sono state più volte oggetto di pubblica protesta, sia da parte degli abitanti del luogo, che in sede istituzionale, come dimostrano le numerose iniziative di vigilanza e controllo intraprese dagli organi preposti, nonché gli atti di diffida rivolti alla Italcementi con l’intento che proceda alla dovuta messa in sicurezza del sito;
- nell’ottobre del 2005, un sopralluogo effettuato dal D.A.P. con il Comandante della locale Stazione dei Carabinieri nel cementificio di Isola delle Femmine, rilevava che “all’interno del capannone (materie prime: petcoke, clinker, calcare, sabbia, argilla, perlite. Nelle adiacenze P.E. E43 ed E45) viene effettuato stoccaggio e movimentazione a mezzo gru a ponte di materiale polverulento che produce un’emissione diffusa. Si evidenzia altresì che parte del capannone risulta essere aperto verso l’esterno…”(verbale n. 9942393);
- il 25 gennaio 2006, l’ARPA ha effettuato un sopralluogo presso il deposito di combustibile solido (petcoke) in località Raffo Rosso della Italcementi, evidenziando gravi carenze nel sistema di impermeabilizzazione delle aree per lo stoccaggio del petcoke, sostanza pericolosa per la salute umana perché rientrante nella categoria cancerogena 3, (nota prot. 9945432, 30 gennaio 2006);
- la relazione dell’ARPA del gennaio 2006, si conclude con l’indicazione di diversi interventi di messa in sicurezza che la Italcementi è tenuta a porre in essere nel più breve tempo possibile e con la richiesta di esibire l’autorizzazione per l’utilizzo di petcoke quale combustibile solido all’interno dello stabilimento;
- a seguito della relazione dell’ARPA, il Sindaco di Isola delle Femmine, ha inviato una nota di diffida (nota prot. n. 3975 del 15.03.06) alla Italcementi, con la quale si invitava la predetta società ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza, di risposta emergenziale, di bonifica e ripristino ambientale, così come indicati dall’ARPA;
- il 25 luglio 2006, l’Assessorato Territorio ed Ambiente della Regione Sicilia con nota n°48283, ha emesso un provvedimento di diffida (firmato dal Responsabile del Servizio, il dott. Genchi) nei confronti della Italcementi di Isola delle Femmine contestando, tra l’altro, l’incontrollato utilizzo e smaltimento dei residui della produzione, quali il petcoke, sostanza altamente cancerogena;
- nella diffida si legge, tra l’altro, che “il petcoke viene utilizzato dal 1987 come combustibile del forno 3, del mulino crudo 3 e, in miscela e fino al 1992, del forno 2” e che, sebbene “la realizzazione del deposito di petcoke sia stata autorizzata dal Comune di Isola delle Femmine, non è mai stato comunicato né autorizzato l’uso del petcoke come combustibile”, rilevando infine che “nei rapporti analitici periodicamente trasmessi, la Ditta dichiara l’uso di carbone e non di petcoke” (nota n°48283 del 25 luglio 2006);
- solo pochi mesi prima, nel suo Piano di Caratterizzazione (12.04.2006) l’Italcementi dichiarava invece che soltanto “a partire dal 2001 presso la località Raffo Rosso si è effettuata l’attività di deposito del combustibile solido (petcoke)”, in virtù dell’Autorizzazione Edilizia n. 10/2001, rilasciata dal Comune di Isola delle Femmine il 05.04.2001, omettendo quindi tutta una serie di dati e di verità fondamentali;
- l’Assessorato Territorio e Ambiente, nel provvedimento del luglio 2006, dichiara in modo univoco che “sono stati ripetutamente violati i dettami della normativa vigente e le prescrizioni del decreto assessoriale di autorizzazione” (per quanto concerne l’utilizzo del petcoke al posto del carbone), diffidando “l’Italcementi dal continuare ad utilizzare il petcoke come combustibile, nonché a continuare ogni attività che dia luogo alla produzione di emissioni diffuse di tale composto in assenza della necessaria autorizzazione ai sensi del D. Lgs. n. 152 /2006”, evidenziando inoltre che “ogni ulteriore violazione delle prescrizioni contenute nel presente provvedimento comporterà necessariamente la sospensione delle autorizzazioni concesse” (nota n°48283 del 25 luglio 2006);
- l’8 gennaio 2007, il dott. Tolomeo, Direttore del Dipartimento Territorio e Ambiente ha comunicato al dott. Genchi responsabile dei pareri tecnici in materia di tutela dell’inquinamento atmosferico da emissioni del 3° Servizio, l’immediata sospensione dall’incarico e conseguente spostamento a diverso luogo e a diversa posizione, senza che tale provvedimento sia stato in alcun modo motivato;
- il Dipartimento facente capo al dott. Genchi stava anche intervenendo su diverse tematiche a salvaguardia dell’ambiente, nel tentativo di far installare sistemi di recupero dei vapori nelle operazioni di carico e scarico delle navi; di impedire lo smaltimento mascherato di rifiuti tramite torce, di ridurre i limiti delle concentrazioni emissive e di bloccare la costruzione di 4 impianti di combustione delle biomasse, tutti progetti sostenuti con forza dal Governatore Cuffaro;
- a tutt’oggi, l’Italcementi non ha né provveduto alla messa in sicurezza dell’impianto, né ai necessari aggiornamenti del sistema di filtraggio e depurazione, né tantomento ha iniziato una procedura di controllo delle attività impattanti legate al funzionamento dei propri impianti, ma ha anzi intenzione di proseguire nell’inquinamento incontrollato, ampliando i propri impianti mediante la costruzione di una nuova torre alta circa 100 metri,



Si chiede di sapere:
- se il Governo non ritenga opportuno bloccare l’avvio di nuovi progetti fino al momento in cui non venga intrapresa la messa in sicurezza degli impianti e delle operazioni del cementificio, con preventivo accertamento dei danni causati dalle emissioni della Italcementi ai cittadini e all’ambiente;
- se il Governo non possa intervenire a tutela del paesaggio e delle normative in vigore, dato che la cementeria è situata all’interno di zona vincolata dalla Sopritendenza dei Beni Ambientali e Paesaggistici della Regione Sicilia, e dato che si tratta di attività nocive “che producono fumo, polvere, rumore, esalazioni nocive ed eventuali scarichi di sostanze velenose”, le quali non potrebbero avere luogo in prossimità di centri abitati, anche a norma del piano regolatore di Palermo;
- come il Governo intenda attivare tutte le procedure e i provvedimenti atti a salvaguardare la salute dei lavoratori e dell’intera cittadinanza, monitorando, con un apposito gruppo di lavoro, le eventuali connessioni tra ciò che si evidenzia dai rapporti ARPA e le patologie più diffuse sul territorio con particolare riferimento a quelle neoplastiche e tiroidee.


Sen. Tommaso Sodano, Di Lello e Liotta
http://www.isolapulita.it/


Labels: INTERROGAZIONI PARLAMENTARI

Anonimo ha detto...

Ciao, sono Iasann. Ho letto attentamente questa importante situazione e mi scuso per la mia ignoranza ma mi ponevo questo quesito: ci sono altre fonti di energia alternativa come quella solare(del resto costosissima per poterla utilizzare in ambienti ad alta densità di popolazione),l'energia eolica(anch'essa concerniente problemi collaterali riguardo i danni che le centrali eoliche producono uccidendo quantità enormi di uccelli),geotermica...Ma queste come altre che conosciamo da sempre,non sono sufficienti a far migliorare la qualità della vita sia degli esseri umani che di tutto il sistema Natura...(Vedi:Martin Hoffert,et al.,"Advanced Technology Paths to Global Climate Stability:Energy for a Greenhouse Planet", SCIENCE,298(nov.1,2002). A questo punto, oltre un monitoraggio ad ampio raggio già effettuato, cosa si può fare per realizzare un'alternativa il meno possibile nociva? Desidererei una delucidazione,se possibile,o un orientamento per capire qual'è il danno minore.Grazie!/ciao Mandragor!)

SonicSnake ha detto...

Ciao Iasan,

Io sono convinto che le tecniche per evitare il danno ambientale ci siano.

Basta cercare in una qualunque fonte che parla di produzione di energia.

Ad esempio cosa ne pensi del nucleare e delle centrali a biomassa? Poi c'è anche un'altro sistema che prevede il montaggio di un sistema apposito all'interno delle mura casalinghe, l'ho visto a Geo&Geo, devo cercarlo.

Poi, sicuro che le eoliche facciano stragi di uccelli?? non l'avevo mai sentito fra i problemi frequenti.

Grazie della risposta.

Ciao :D

ISOLA PULITA ha detto...

LE ADESIONI ALL'INIZIATIVA PER DELOCALIZZARE LA ITALCEMENTI DI ISOLA DELLE FEMMINE






SALE LA PROTESTA PER DELOCALIZZARE LA ITALCEMENTI DI ISOLA DELLE FEMMINE


Italcementi di Isola delle Femmine , torre di 100 metri
Il Comune di Isola: va spostata
Nuovo impianto e polemiche. “Serve ad abbattere le emissioni”
Sindaco e associazioni: “Lontano Dal paese”.
Azienda possibilista

ISOLA DELLE FEMMINE, (ima] La nuova torre di cento metri d’altezza che Italcementi vuole costruire nello stabili
mento di Isola sta provocando allarme.
Associazioni e Comune marcano da vicino la società bergamasca, che ha sedi in tutt’Italia, per chiedere la delocalizzazione del nuovo forno e quindi della torre.
Uno spostamento di poche centinaia di metri dal centro abitato, ai piedi della montagna nei cui pressi c’è una cava.
Una proposta che, se accolta dall’azienda, renderebbe la stessa collettività meno ostile all’ammodernamento del ciclo di produzione. La prima sede ufficiale per presentare questa proposta è stata la prima riunione della conferenza dei servizi convocata dall’assessorato al Territorio per rilasciare l’Autorizzazione integrala ambientale (AÌa).
Un via libera per consentire all’industria di realizzare il nuovo impianto, come già fatto a Calusco d’Adda. «Noi non siamo contro la torre che come ci assicurano! tecnici dell’Italcementi abbatterebbe di molto le emissioni in aria.
Il nuovo forno consente infatti un consumo più basso di energia termica e quindi l’impiego di una minore quantità di combustibili - dice il sindaco Caspare Portobello -.
Quello che emerge dagli incontri con cittadini e associazioni è che si è tutti contro il luogo scelto nel progetto per realizzare la torre, alta cento metri con una base di 40 per 40.
Avete idea di cosa significa una simile struttura a due passi da alberghi e non distante dal mare?”.
Sulla stessa linea rappresentanti di associazioni come Isola Pulita e Mare Pulito.
«Non siamo contro il nuovo impianto se ciò significa un abbattimento delle emissioni- afferma Mario Ajello-.
Ciò che decidiamo è la delocalizazione della torre. Dal momento che si parla di un investimento di 100 milioni di euro mi sembra che si possa trovare una soluzione per assicurare una convivenza serena tra noi e Italcementi».
Per Giuseppe Ciampolillo di Isola Pulita è necessario saperne di più prima di qualsiasi via libera. Non solo, ma la condizione essenziale è la delocalizzazione dell’ impianto.
Per questo Isola Pulita si è fatta promotrice di un’interrogazione presentata dal senatore Tommaso Sodano.
L’azienda si mostra dal canto suo possibilista. «Siamo agli inizi del nostro iter che abbiamo avviato proprio in questi giorni.
Il progetto di ammodernamento dell’impianto ha un’importante valenza ambientale - dicono dall’azienda -. Il confronto con il territorio è continuo e avremo modo di affrontare tutti i suggerimenti che ci saranno sottoposti per una corretta vantazione, ambientale, tecnica ed economica».


IGNAZIO MARCHESE

Giornale di Sicilia 6.2.07

Comitato Cittadino Isola Pulita

Labels: COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DELOCALIZZAZIONE

ISOLA PULITA ha detto...

Da: “il Manifesto” del 18 febbraio 2007

Incompatibile con i Veleni di Totò
Massimo Giannettì Palermo

Gioacchino Genchi, ex leader del movimento studentesco palermitano del '68, tutto poteva immaginare nella vita, tranne che avrebbe avuto di nuovo a che fare, quasi quarant'anni dopo il '68, con quel «tipo strano» che frequentava le assemblee del collettivo della facoltà di scienze e poi andava a denunciare gli studenti alla polizia. Quel «tipo strano» che gli stessi studenti allontanarono a calci nel sedere dall'università appena scoprirono che era un infiltrato, un paio di mesi fa è infetti diventato nientemeno che direttore generale del dipartimento territorio e ambiente nel medesimo assessorato della Regione Sicilia, dove Gioacchino Genchi, dirige da diversi armi l'importante «Servizio 3», quello che si occupa della tutela dall'inquinamento atmosferico.

L'ex infiltrato - peraltro reo confesso - nel movimento studentesco, ex militante del Msi e poi di An, e ora alto dirigente regionale in quota dell'Mpa di Raffaele Lombardo, è insomma il suo nuovo capo gerarchico e in virtù di questo potere l'8 gennaio scorso ha deciso che per «ordini superiori» Gioacchino Genchi non deve più dirigere quel Servizio. Senza curarsi minimanente della legge (la numero 241 del '90 sui procedimenti amministrativi), Pietro Tolomeo, il suddetto direttore generale, ha quindi preso carta e penna e senza alcuna motivazione né preavviso gli ha revocato l'incarico in seduta stante, destinandolo in un'altra sede. «Conseguentemente a ciò e ribadendo la richiesta già avanzata per le vie brevi - è la stata sua intimazione scritta - le si chiede di consegnare immediatamente allo scrivente tutta la documentazione e il registro di protocollo interno relativi al Servizio 3 ancora in suo possesso». Dalle parole è poi passato ai fatti.

Di fronte alle resistenze di Genchi a lasciare il suo posto di lavoro, Tolomeo • che come avrete già capito è uno che gli «ordini superiori» li esegue davvero alla lettera - ha infatti cominciato lui stesso a sgomberare scaffali e scrivanie dall'ufficio del funzionario, tentando, in sua assenza, di prelevare anche documenti dal suo computer.

Ma non è finita, perché Tolomeo - che è un tipo abbastanza grosso di statura e a quanto pare anche abbastanza manesco, la l' 11 gennaio, e cioè tre giorni dopo aver dato il benservito a Genchi, visto che quest'ultimo e uno dei suoi collaboratori insistevano cercando di fargli capire che la revoca dell'incarico senza giustificato motivo è nulla, e che proprio per questo motivo i documenti che lui pretendeva non glieli avrebbero consegnati, Pietro Tolomeo è saltato su tutte le furie e si è avventato fisicamente addosso ai due interlocutori.

Perché e per conto di chi?

Adesso tutta questa storia è nelle mani della magistratura, alla quale Gioacchino Genchi - contro la cui rimozione sono scesi in piazza ambientalisti, comitati di cittadini, sindacati di base e politico regionali - si è subito rivolto per difendere i propri diritti. Ma a questo punto la domanda è: perché Pietro Tolomeo ha fatto quello che abbiamo raccontato?, o meglio: per conto di chi ha eseguito quell'«ordine superiore» come a lui stesso confidato a Genchi?

Date le caratteristiche del personaggio, tutte le ipotesi sono ovviamente plausibili, ma Tendiamo ad escludere che si sia trattato di una sua vendetta postuma per i fatti universitari del secolo scorso. Il suo passato di fascista e di spia della polizia, a parte i metodi, al 99,9 % non ha alcun legame con l'epurazione dell'ex leader sessantottino dal Servizio antinquinamento. Un Servizio - è bene sottolinearlo - che è come il fumo negli occhi sia per le grandi lobby chimiche che operano nell'isola che per lo stesso potere politico siciliano. Le origini della rimozione di Genchi, già vittima l'anno scorso di una simile ritorsione, vanno quindi rintracciate tra i numerosi provvedimenti che il «Servizio 3» da fui diretto stava per emettere o ha emesso nei mesi più recenti.

Tra questi la clamorosa chiusura della distilleria Bertolino di Partinico, la più grande e più inquinante fabbrica etilica d'Europa, di proprietà della cognata dell'ex «ministro dei lavori pubblici» di Cosa nostra, Angelo Siino (poi pentito) e nella quale si sarebbero, fra l'altro, tenute varie riunioni della Cupola di Bernardo Provenzano. Poi ci sono le drastiche misure nei confronti di alcune industrie del mattone catanesi che impastavano ceramica con i fanghi tossici dei petrolchimici del siracusano, e del cementificio di Isola delle Femmine (Italcementi) per l'uso de Pet Coke come combustibile per alimentare gli impianti che da anni avvelenano terra mare e cielo della località alle porte di Palermo.
Insomma, di interventi scomodi il direttore del «Servizio 3» ne ha firmati parecchi e altri ne aveva in serbo, come quelli rivolti ai petrolchimici di Gela, Milazzo, Augusta e Priolo. Ma gli indizi maggiori della sua rimozione portano dritti dritti ai quattro mega inceneritoridì rifiuti che il presidente della regione Totò Cuffaro vuole realizzate a tutti i costi in Sicilia: è un business colossale di circa 2 miliardi di euro che non può, anzi non deve assolutamente sfumare per colpa di un funzionario troppo ligio al proprio dovere, e che soprattutto non intende piegarsi alle pressioni del governatore.

A Genchi il piano rifiuti di Cuffaro non è mai piaciuto, c'è troppa puzza di bruciato.

E infatti non lo ha mai approvato. Ma non lo ha bocciato per un capriccio politico. Tant' è che nessuno, neanche lo stesso Cuffaro, gli ha mai mosso un simile rimprovero.

Il no del «Servizio 3» alle autorizzazioni delle emissioni di gas in atmosfera - preliminari per l'avvio dei cantieri - tende semplicemente ad applicare le normative, italiane ed europee, sulla tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini I quattro inceneritori - previsti a Palermo, Paternò, Augusta e Casteltermini - oltre ad essere sovrastimati per lo smaltimento dei rifiuti prodotti in Sicilia, emettono una quantità di diossina dieci volte superiore ai limiti massimi tollerati ma non auspicati dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per l'organismo umano. Un esempio pratico;

con l'entrata a regime dell'inceneritore palermitano di Bellolampo ai 750 mila residenti del capoluogo siciliano verrebbe inflitta la stessa overdose di polveri tossiche e nocive «tollerata ma non auspicate» per una megalopoli di 7 milioni e mezzo di abitanti.

Inoltre, conto gli inceneritoli c'è l' opposizione dei sindaci dei luoghi in cui sono previsti, che in quanto responsabili della salute dei cittadini, per legge, vanno ascoltati. «Per queste ragioni - dice Genchi - abbiamo ritenuto che i quattro inceneritori sono' incompatibili con il territorio e con le popolazioni)).
Verdetto già scritto

E' il verdetto che il responsabile del «Servizio 3» ha scritto già un anno e mezzo fa, quando gli inceneritori cominciavano a muovere i primi passi. Un verdetto che però Gioacchino Genchi non ha fatto in tempo ad emettere formalmente, perché proprio nel momento in cui stava per farlo, Totò Cuffaro, annusata l'aria al secondo piano di via Ugo La Malfa 169, bloccò in extremis la sentenza. In che modo? Esattamente come è stato per la seconda volta fatto 18 gennaio scorso: rimuovendo Genchi dalla direzione del Servizio.

Ma nel settembre 2005 il governatore siciliano fece male i calcoli. Pensava che una volta eliminato Genchi dal Servizio 3, il problema per gli «intoccabili 4» sarebbe stato definitivamente risolto. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco, evidentemente.

Tant'è che ancora oggi la questione inceneritori è rutt'altro che chiusa. Sono cosi tante le irregolarità riscontrate nelle procedure che hanno consentito l'avvio dei cantieri, che nessuno sa come andrà esattamente a finire. C'è l'inchiesta della magistratura di Palermo sui bandì di gara (gran parte degli appalti se li sono aggiudicati varie società capitanate del gruppo Falk) pubblicati soltanto in Italia e non in tutta Europa come invece stabilisce la normativa; c'è poi la procedura d'infrazione della corte europea di giustizia per violazione della direttiva Ue sulla raccolta differenziata dei rifiuti, relegata dal piano Cuffaro ad optional anche rispetto al decreto Ronchi del '92; e c'è, soprattutto, l'indagine amministrativa del ministro dell'ambiente Pecoraro Scanio che ha riscontrato, otto mesi fa, «gravi illeciti» sulle autorizzazioni delle emissioni in atmosfera concesse alle ditte appaltatrici dal suo predecessore Altero Matteoli Fu infatti l'ex ministro di An ad acquisire i poteri sostitutivi sulle stesse concessioni una volta azzerata l'autorità siciliana (Genchi) istituzionalmente preposta a farlo;

Era il mese di giugno del 2006, quando Matteoli e gli altri due ministri Francesco Storace (salute) e Pietro Lunardi (attività produttive), proprio nell'ultimo giorno di permanenza del Governo Berlusconi a Palazzo Chigi diedero il via libera agli inceneritori.

Ma i nulla osta, come peraltro fecero notare tecnici dello stesso ministero a Matteoli, non potevano essere concessi perché erano abbondantemente scaduti ì termini di legge, Erano cioè passati più di 900 giorni dal momento in cui le ditte ne avevano fatto richiesta

La normativa prevede che tali risposte devono essere invece date «entro 90 giorni».
Le autorizzazioni sulle emissioni di gas serra sono dunque ^(illegittime» e in quanto tali andrebbero annullate.

Dopo l'indagine Pecoraro Scanio annuncia effettivamente di volerle revocare, ma la revoca non è mai avvenuta, perché il ministro verde non è riuscito ad avere il benestare degli altri due ministri Livia Turco (sanità) e Pieluigi Bersani (sviluppo economico). È arrivata invece la «sospensione per 60 giorni; dei cantieri intanto avviati. Il decreto interministeriale è di questi giorni ed è la sostanziale ratifica delle conclusioni della conferenza dei servizi tenutasi a Roma il 22 novembre scorso con la partecipazione dello stesso Cuffaro.

Ed è proprio
tà concreta che la decisione ultima sulle autorizzazioni per le emissioni tomi di nuovo a Palermo, e precisamente al Servizio antinquinamento di via La Malfa, ossia nello stesso luogo da cui era stata madestramente sottratta nel settembre 2005 con la prima rimozione di Genchi Totò Cuffaro toma così a tremare.

È preoccupatissimo. Toglie perfino il saluto all'allora direttore generale del dipartimento ambiente e territorio Giovanni Lo Bue, colpevole, a suo dire, di non aver fatto un «buon lavoro sospendendo l'anno prima Genchi per soli cinque mesi. Al funzionario scomodo è stata infatti restituita la direzione del Servizio 3, dove da questo momento in poi - siamo alla fine del 2006 - si potrebbero appunto ridiscutere le sorti degli inceneritori. È a questo punto che entra in campo Tolomeo il manesco. Dopo anni passati a capo di una struttura regionale di ultimo ordine, è stato appena nominato al vertice di un dipartimento importantissimo. È l'uomo giusto al posto giusto per .scatenare la seconda guerra preventiva temuto responsabile del «Servizio 3». È una guerra lampo che Tolomeo mette in pratica, come si diceva l'8 gennaio, quando Gioacchino Genchi, con i metodi fascistoidi che abbiamo visto, viene nuovamente rimosso dall'incarico.

Al suo posto ora c' è un geologo, Salvatore Anzà, che a quanto si vocifera in assessorato non avrebbe alcuna preparazione sui nuovi compiti che lo aspettano. Ma è un aspetto del tutto secondario. La cosa più importante è che sia "persona assolutamente affidabile" per gli obiettivi di sua maestà Totò Cuffaro


MANIFESTO 18 FEBBRAIO 2007
Labels: COMITATI CITTADINI SICILIANI NO INCENERITORI

Anonimo ha detto...

hey tienici informati www.macerataforum.it

ISOLA PULITA ha detto...

ISOLADELLE FEMMINE LA ITALCEMENTI PRODUCE CEMENTO PERTANTO E' CLASSIFICATA COME AZIENDA INSALUBRE QUINDI PER LEGGE DEVE ESSERE DELOCALIZZATA FUORI DAL CONGLOMERATO URBANO

AZIENDE INSALUBRI E LORO INSEDIAMENTO






UN'AZIENDA CLASSIFICATA COME INSALUBRE PER LEGGE DEVE AVERE IL SUO INSEDIAMENTO FUORI DEL CONGLOMERATO URBANO


Depositi insalubri: problematica appartenenza al novero delle industrie insalubri (*)





ottobre 1999
di SILVANO DI ROSA (**)
Consulente Legale Ambientale – esperto A.N.E.A.

SOMMARIO:
Premessa; – 1. Oggetto della trattazione ; – 2. Tendenze opinabili; – 3. Analisi critica delle tesi contrapposte; – 4. Negazione di una «Presunzione di escludibilità» dei depositi; – 5. Conclusioni.

Premessa
Abbiamo già avuto occasione di specificare1 come – nell’ambito della disciplina delle industrie insalubri – il termine “industria” non debba essere considerato in senso stretto, bensì secondo un’ampia accezione, essendo idoneo a riferirsi, in ugual modo, a qualsiasi attività2 (non solo industriale) che – in sostanza – possa dar luogo ad occasioni di pericolo3. Una recente decisione del T.A.R. Toscana4 può, da sola, riassumere tutta la questione, andando dettagliatamente a specificare che:

«Il concetto di industria utilizzato dal Legislatore nell’art. 216 T.U. 27 luglio 1934 n. 1265, a norma del quale vengono effettuate le classificazioni delle industrie insalubri di prima e seconda classe, non attiene esclusivamente all’attività umana diretta alla produzione di beni mediante procedimenti di carattere artificiale, ma si riferisce sostanzialmente a tutte quelle attività che, modificando la situazione socio-ambientale del territorio, possono dar luogo ad occasioni di pericolo per l’igiene e la salute pubblica…».

Se, con una tale statuizione, si dovrebbe poter dare per scontato che anche un’attività artigianale, ove ne abbia i requisiti, possa (rectius: debba) considerarsi come industria insalubre5, un discorso a sé stante – invece – deve essere riservato alle attività di deposito; le quali, per quanto normalmente enumerate negli elenchi delle industrie insalubri fino ad oggi approvati, hanno destato (a nostro avviso ingiustamente) molte perplessità circa la relativa appartenenza a tale novero e, conseguentemente, tutta una serie di dubbi verso la possibile qualificazione di tali fattispecie come industrie insalubri a tutti gli effetti.

1. – Oggetto della trattazione

La questione che vogliamo esaminare, quindi, non consiste tanto nel fatto che i depositi siano stati, o meno, enumerati negli elenchi approvati con i vari decreti ministeriali (questa è un’evidenza innegabile!!),
quanto che dottrina e giurisprudenza, nonostante il contenuto di tali elencazioni, non abbiano – molto spesso – visto di buon occhio il classificare e considerare come “industria insalubre” una attività di “mera
detenzione di sostanze e/o prodotti”.
Nel vigente elenco delle industrie insalubri del 19946 sono 10 le voci che contemplano attività di deposito7, di per sé, classificabili come insalubri; delle quali riteniamo opportuno riportarne l’elenco per fornire un quadro aggiornato della situazione: deposito di formaggi (IIa – B – 26), deposito di frutta e verdura (IIa – B – 27), deposito di grassi (IIa – B – 28), deposito di mangimi semplici di origine animale e chimico industriale (IIa – B – 41), deposito di ossa e sostanze cornee (Ia – B – 91), deposito di pelli fresche (Ia – B – 92), deposito di piume, mezze piume e piumini - materiale già bonificato - (IIa – B – 46), deposito di rifiuti solidi e liquami (Ia – B – 100), deposito di rifiuti pericolosi (Ia – B – 101), deposito di stracci (IIa – B – 52). In altre 69 voci, dello stesso elenco vigente8, l’attività di deposito viene esplicitamente segnalata, quantomeno, come una delle fasi la cui attuazione determina – comunque – l’insalubrità dell’azienda (anche se fosse soltanto quella la fase dell’attività svolta in relazione a certe sostanze, prodotti o materiali); fra queste voci, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, è possibile evidenziare le attività di «deposito di…: aceto (IIa – B – 3), acido cianidrico (Ia – A – 7), acido cloridrico (Ia – A – 8), acido solforico (Ia – A – 16), budella (Ia – B – 16), cloro (Ia – A – 53), esplosivi (Ia –B
– 50), fosforo (Ia – A – 67), gas compressi e liquefatti (Ia – B – 62), gas tossici (Ia – A – 70), idrocarburi (Ia – B – 70), mercaptani (Ia – A – 81), oli essenziali ed essenze (Ia – B – 87), nitroglicerina (Ia – A – 91), solventi alogenati (Ia – B –109), sostanze chimiche classificate come pericolose (Ia – A – 107)9, zolfo (Ia – A – 115), ecc., ecc. …»

C’è subito da notare come una tale presenza di attività di deposito non possa certo dirsi una novità, visto che fin dal primo degli elenchi delle industrie insalubri10si riscontravano voci quali: «depositi di ossa» e «depositi di spazzature», enumerati fra le industrie insalubri di prima classe; così come «depositi di baccalà» e «depositi di pesce», ricompresi fra quelle di seconda. Analoghe indicazioni si sono, poi, succedute nel tempo all’interno degli elenchi posteriori; così che, mentre nel vigente elenco sono complessivamente 79 le voci di insalubrità che – in qualche modo – contemplano la fattispecie oggetto del presente lavoro, nell’elenco anteriormente vigente, approvato con il D.M. sanità 2 marzo 198711, erano 77 le voci – fra quelle di prima e quelle di seconda classe – che interessavano anche (o soltanto) attività di deposito. Nell’elenco ancora precedente, approvato con D.M. sanità 19 novembre 198112, le voci riferite ad attività di deposito erano complessivamente 23. Erano, invece, 22 le voci che si riferivano all’attività di cui trattasi, presenti nell’elenco di cui al D.M. sanità 23 dicembre 197613.

2. – Tendenze opinabili

Tutto questo non è stato, in ogni caso, sufficiente ad impedire che si creassero, ugualmente, delle “correnti di pensiero” tendenti a considerare i depositi come “non classificabili” nel novero delle industrie insalubri. Non vorremmo ripeterci sul concetto di pericolosità delle industrie insalubri14 e sul fatto che questa debba considerarsi non già “in astratto”, bensì “in concreto”15 – quantomeno per l’esercizio di poteri prescrittivi e sanzionatori da parte dell’ Autorità amministrativa –, ma è proprio prendendo atto di come le industrie insalubri vengano trattate (in ragione della loro pericolosità) sia dalla legge sanitaria sia dalla legge di pubblica sicurezza, che si arriva ad inquadrare l’origine del problema che ci sta a cuore. Il «Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza» approvato con R.D. 18 giugno 1931, n° 773, ed attualmente vigente, disciplina con il proprio art. 6416 alcuni aspetti delle industrie insalubri; questo, nonostante che la materia sia esaustivamente e simultaneamente trattata anche dall’altrettanto vigente art. 216 del T.U.LL.SS. del 193417. Le disposizioni contenute nel citato art. 64, circa le predette attività, continuano perciò ad essere “fuori posto” e non esistono dubbi circa l’effettività di una tale duplice trattazione, perché l’art. 64 si interessa proprio di insalubrità e non di incolumità. Di quest’ultima si occupa, invece, il precedente art. 63 dello stesso T.U.LL.P.S., che riguarda gli opifici, gli stabilimenti ed i depositi di sostanze che presentano pericolo di scoppio o di incendio (fenomeni, effettivamente, più attinenti ed affini all’aspetto dell’incolumità). Già in altra sede18 abbiamo avuto modo di dimostrare come l’articolo 64 T.U.LL.P.S. debba considerarsi abrogato “ai fini delle industrie insalubri”. Ciò non toglie che TORREGROSSA19, confermando tale abrogazione per «esigenze di armonia e di certezza dell’ordinamento giuridico», arrivi a precisare come ciò valga solo per le attività produttive insalubri, ma non per i “depositi insalubri o pericolosi”, la cui disciplina20 – a sua detta – resta interamente devoluta ai regolamenti locali o, in difetto di questi, ai provvedimenti del Sindaco adottati o adottabili in forza – proprio – dell’art. 64 T.U.LL.P.S.; il quale, pertanto, pur se limitatamente a tali fattispecie, dovrebbe considerarsi ancora in vigore21. Tale autore fornisce un’unica precisazione (attenuativa della drastica scelta prospettata) consistente nel fatto che il deposito possa considerarsi insalubre a condizione che presenti un nesso funzionale con una industria insalubre; in tal caso prevarrebbe nuovamente la disciplina sanitaria e l’attività di deposito tornerebbe a poter essere considerata industria insalubre, in quanto strettamente connessa con un’attività produttiva insalubre. A nostro avviso, invece, non è affatto necessaria l’esistenza di un tale nesso funzionale e ci apprestiamo, di seguito, a fornirne le motivazioni Quello appena illustrato è soltanto uno dei casi in cui le attività di deposito vengono viste – di per sé – “non classificabili” come insalubri. Altre sono le fonti che, analogamente, vorrebbero escludere tali tipi di attività dall’applicazione della disciplina in esame. Basti pensare che GIAMPIETRO22, riguardo al provvedimento di classificazione delle industrie insalubri, afferma che esso è un atto dovuto, riguardante: «…la semplice lavorazione di certe sostanze23, ma non la sola attività di deposito o di stoccaggio (di dette sostanze) senza trasformazione della materia prima». A conferma di ciò lo stesso autore, in altra collocazione24, richiama il T.A.R. Lombardia25 che, in maniera apparentemente accomunabile, nega la
classificabilità come industria insalubre di un deposito di rottami di autoveicoli. Ma v’è dell’altro, giacché questo non è il solo autore che aderisce alla tendenza di cui stiamo parlando.
Possiamo invero richiamare anche DE MARCO 26, il quale non si fa scandalo di indicare che: «…il presupposto dell’insalubrità è stato escluso laddove non si riscontra lavorazione ma soltanto deposito di determinate sostanze: significativa al riguardo (secondo tale autore) è la pronuncia del T.A.R. Veneto27 che ha preso in esame il caso di un privato commerciante, il quale deteneva in deposito oli minerali nonché gas auto e benzina, appunto per venderli; …il Collegio ha riconosciuto la illegittimità di qualunque provvedimento…inteso a classificare tali depositi fra le industrie insalubri…». A completamento di una
rappresentanza chiaramente schierata contro l’iscrizione dei depositi fra le attività insalubri, ci è possibile riportare anche un estratto della massima che scaturisce da una decisione del T.A.R. Piemonte28, da cui risulta:
«…E’ illegittima l’inclusione fra le industrie insalubri di prima classe di un impianto di deposito e stoccaggio di bitumi, nel quale non viene compiuta alcuna attività di produzione, trasformazione di materia prima o, in genere, di lavorazione industriale, non attagliandosi alla fattispecie il riferimento normativo di cui all’art. 216 T.U.LL.SS., che espressamente prevede la classificazione di manifatture o fabbriche».

Sembra non sussista alcun dubbio sulla compattezza di un simile “fronte di fuoco”, così come – riguardo alle tre sentenze appena esposte – pare non esistano dubbi sul fatto che queste contengano degli elementi, fra di loro, comuni. Il primo elemento è quello di aver preso in esame casi di attività di deposito; l’altro è che, essendo tali, non vengono considerate attività riconducibili al novero delle industrie insalubri.

3. – Analisi critica delle tesi contrapposte

A nostro avviso tali sentenze sono state mal interpretate o scorrettamente generalizzate; se non altro, riteniamo che le relative motivazioni siano state espresse in maniera non del tutto consona o rispondente allo specifico caso trattato! L’affermazione, apparentemente saccente, trova pieno conforto nella realtà dei fatti, in quanto esiste – per ciascuno dei casi esaminati – una spiegazione logica e, soprattutto, “diversa” da quella (posta a fondamento degli annullamenti) consistente nell’esclusione di tali fattispecie dal novero delle industrie insalubri per il solo fatto di: “essere un’attività di deposito”. Riassumendo brevemente la questione, vogliamo ricordare che i casi sopra richiamati riguardavano: un deposito di rottami di autoveicoli29, un deposito di oli minerali, gas auto e di benzina30, ed un deposito e stoccaggio di bitumi31. Effettivamente concordiamo sull’aspetto sostanziale della “inclassificabilità” di queste attività come industrie insalubri!
Ma la ragione di una tale esclusione deve essere attribuita a motivazioni ben diverse da quelle addotte dai giudici o, quantomeno, da quelle “in tal senso” interpretate e riportate dalla dottrina che ne ha fatto uso e/o richiamo.

Il deposito di rottami di autoveicoli non poteva, in effetti, essere classificato come insalubre, per quanto indicato al n° 107 delle attività di prima classe di cui al D.M. 19 novembre 1981, perché l’esatta enunciazione di tale voce era: «Deposito e demolizione di autoveicoli…»32. Per questo caso, quindi, è lo stesso elenco ministeriale (allora vigente) a fornire un preciso motivo di esclusione; prevedendo necessariamente l’abbinamento, e quindi la compresenza, di due diverse attività fra di sé collegate: il deposito connesso con un’attività di demolizione. In assenza di una tale concomitanza non si verifica quella necessaria “stretta corrispondenza” fra l’attività realmente svolta ed il tipo astratto enumerato nell’elenco, venendo così a mancare l’elemento imprescindibile senza il quale non è possibile dar seguito ad una corretta classificazione.

E’ questa mancanza di conformità fra realtà concreta e fattispecie astratta che non poteva consentire l’emanazione di un legittimo provvedimento comunale di classificazione nei riguardi dell’attività esaminata. Appare pertanto evidente come «questa carenza» sia la vera causa dell’annullamento del
provvedimento di classificazione comunale, cui ha dato seguito il Giudice lombardo, e non certo il mero fatto che si trattasse di una attività di deposito (come invece si è lasciato intendere in più occasioni).
In merito al caso del deposito di oli minerali, gas auto e benzina, si possono fornire due spiegazioni distinte. Per un verso è evidente che tale attività non potesse essere classificata come insalubre, a causa della mancanza di corrispondenza fra l’attività di deposito di gas auto e la voce n° 127 di prima classe dell’allora vigente D.M. 12 febbraio 197133. Difatti, la fattispecie astratta indicata nell’elenco con tale numero, menzionava:
«Gas tossici dell’elenco allegato al regio decreto 9 gennaio 1927, n°147…»34, fra i quali non può certo ricomprendersi il “gas auto”.

Allo stesso modo, tale realtà (all’esame del Giudice veneto) non poteva essere ricondotta all’elenco ministeriale neppure per il tramite dell’altra voce di prima classe n° 53: «Benzina: produzione e lavorazione»35; questo perché – all’epoca – il mero deposito di benzina non era specificato fra i tipi di attività classificabili come insalubri. E’ chiaro, quindi, quale sia stato il vero motivo dell’annullamento di tale classificazione da parte del T.A.R.: quel tipo di deposito non era ricompreso fra le fattispecie astratte dell’elenco36, e l’amministrazione locale ha errato nel cercare di ricondurvelo, travisando e tracimando dalle specifiche indicazioni riguardanti le fasi: «produzione e lavorazione», che erano chiaramente indicate “a margine” di questa voce nel testo dell’elenco a quel tempo vigente. Sempre nell’ambito dello
stesso giudizio di fronte al Giudice veneto, appare diversa la situazione riguardante il deposito di oli minerali, perché, in tal caso, la condotta del comune non ci risulta affatto censurabile, ed è contro la decisione del tribunale amministrativo (limitatamente a questo caso specifico) che occorre “puntare il dito”. A ben vedere, infatti, per gli «oli minerali» era effettivamente prevista la specifica voce di insalubrità di prima classe n° 166, la quale, non avendo alcuna particolare indicazione “a margine”, circa le fasi ritenute insalubri, doveva intendersi estesa a tutte le fasi dell’attività in questione37. Quindi, la riconducibilità dell’attività di deposito di oli minerali al tipo astratto allora contenuto in elenco38, non poteva certo essere scartata se non sull’errato presupposto secondo cui “i depositi” (come categoria astrattamente individuata) sono sempre e comunque esclusi dalla classificazione in oggetto.

Questo nostro ricercare meticolosamente dei “motivi di censura” alternativi e diversi da quelli indicati dai Giudici amministrativi, o a questi attribuiti dalla dottrina che a tali decisioni si è rifatta, non deve essere scambiato per un cocciuto tentativo di volersi procurare la ragione “a tutti i costi”, in quanto il vero intento è solo e soltanto quello di perseguire una puntuale e rigorosa applicazione delle “regole” all’epoca vigenti; senza, d’altronde, aver disconosciuto che, delle tre voci di insalubrità utilizzate dal comune per la classificazione dell’attività di cui trattasi, le prime due fossero indubbiamente scaturite da scelte rivelatesi del tutto errate.


Per quanto riguarda il terzo caso (quello esaminato dal T.A.R. Piemonte), l’errore commesso dall’amministrazione comunale consiste nell’aver voluto classificare il deposito di bitumi, riconducendolo alla voce n° 52 di prima classe del D.M. 12 febbraio 1971. E si tratta proprio di un errore, perché, di seguito alla dizione «Asfalti e bitumi naturali, scisti bituminose» – a margine di tale voce – era indicata la precisazione “preparazione e lavorazione”; quindi, proprio nell’elenco ministeriale (allora vigente), veniva esplicitamente statuito che solo queste fasi dell’attività dovevano considerarsi insalubri e non quella di mero deposito. Ancora una volta, perciò, la vera ragione, cui è riconducibile la decisione del Giudice piemontese, consiste nella mancata corrispondenza dell’attività in esame con la dicitura dell’elenco ministeriale39, e non certo nell’aver fatto riferimento all’aforisma: «…i depositi non sono mai attività insalubri».

4. – Negazione di una «Presunzione di escludibilità» dei depositi

Dopo questi indispensabili chiarimenti le decisioni sopra indicate appaiono fortemente ridimensionate, non tanto nel risultato sostanziale da queste prodotto, quanto riguardo alle ragioni che ne sono state causa; potendo sostenere di aver eliminato da tali ragioni la “presunzione” di escludibilità delle attività di mero deposito. Di conseguenza è giunto il momento di cercare di smantellare definitivamente il pregiudizio secondo cui la “lavorazione di certe sostanze” sia il “requisito minimo” (necessario ed indispensabile) per poter considerare, o meno, una certa attività come “insalubre”; riducendo in tal modo al silenzio anche l’affermazione, che normalmente ne discende, secondo cui: «…in assenza di tale fase, il riferimento normativo di cui all’art. 216 T.U.LL.SS. non si attaglia all’attività oggetto d’esame, in quanto la norma espressamente prevede la classificazione di manifatture o fabbriche»40. Che nel 1934 si parlasse solo di manifatture e fabbriche, ma non di depositi (e stiamo volutamente trascurando quanto già detto riguardo al primo elenco delle industrie insalubri del 1895), è un fatto estremamente logico, perché rispondente e adeguato alla mentalità del tempo ed al grado di evoluzione normativa cui, allora, si era pervenuti. Il periodo in cui nasce il vigente T.U.LL.SS. (testo unico delle leggi sanitarie) vedeva come – pressoché – unica fonte di inquinamento: l’industria e l’attività produttiva; quindi non c’è (e non c’era) ragione per cui, all’epoca, ci si dovesse riferire – in maniera esplicita e puntuale – a qualcosa di diverso da essa.

Se questo valeva allora, oggi, secondo una necessaria interpretazione evolutiva (che – logicamente – deve essere utilizzata, sol pensando alle modifiche di “livello esponenziale” compiutesi in tutti i campi), ciò che bisogna considerare importante non è tanto “l’essere attaccati in modo eccessivo alle espressioni
letterali del legislatore del 1934”, quanto il prendere atto e riconoscere l’esistenza di una progressiva individuazione – operata da parte del Consiglio superiore di sanità – di quali siano quelle entità che risultano potenzialmente insalubri; senza potersi permettere di considerare “salubre per forza” una certa fattispecie (che non lo è) per il solo fatto che non risulti specificamente qualificabile come “attività produttiva”.
Ma “frugando bene” e “strizzando gli occhi”, per vedere le cose in maniera più adeguata, possiamo accorgerci che non occorre neppure questo sforzo interpretativo, perché non è affatto vero che, nel 1934 (ma neppure nel 1895), con l’indicazione generica «manifatture o fabbriche» si volessero escludere alcune attività di deposito. Anche stavolta è bene chiarire che non si tratta di una nostra petulante forzatura, ed a sostegno di questa affermazione è possibile citare MACCOLINI41 il quale osserva come, già nell’elenco ministeriale di cui al D.M. 12 luglio 191242, fossero comprese «attività che nulla avevano a che fare con industrie meccaniche e chimiche, come, ad esempio,… i depositi di ossa, di spazzatura, di baccalà e pesce, e di stracci…». A queste è possibile aggiungere – da un nostro attento esame di quel longevo decreto – anche i «depositi di fiammiferi di fosforo » ed i «depositi di solfuro di carbonio». Considerata tale evidenza ci sembra opportuno riutilizzare una citazione fatta da tale autore, a conferma
del fatto che “la forma non può travolgere la sostanza” in quanto «la ragione è figlia del fatto e non il fatto figlio della ragione». Se questo non bastasse, ricordiamo ancora una volta come nel primo elenco delle industrie insalubri del 1895, sia possibile riscontrare la presenza di attività di deposito, confermando come non ci possano essere dubbi sulla logicità di tali inclusioni, stante l’evidenza di come queste attività siano – allora come oggi – causa e fonte di insalubrità.

5. – Conclusioni

A questo punto, richiamando semplicemente tutto quanto finora indicato, e ricordando che è ormai chiaro come anche le attività artigianali, commerciali e di servizi, se ricomprese tipologicamente negli elenchi, non possono che considerarsi delle industrie insalubri, non v’è ragione di poter trattare in maniera diversa le attività di deposito, a condizione che siano, anch’esse, fedelmente riconducibili ad una delle voci dell’elenco ministeriale vigente. Se non risultassero abbastanza convincenti sia la precisazione fatta (in tal senso) dal Ministero della sanità: «…si riferisce a tutte le fasi della lavorazione, ivi compreso il deposito…»43, sia una timida indicazione da parte della giurisprudenza44 (secondo cui, ai fini della classificazione, è «…sufficiente…la fase di immagazzinamento e dell’estrazione di grassi vegetali…»), dovrebbero sicuramente esserlo le 79 le voci di insalubrità, contenute nel vigente elenco ministeriale del
settembre ’94, che – in modo esplicito – prevedono come insalubre anche la fase di deposito. L’evidenza e la logica, ormai, dovrebbero essere risultate sufficienti a debellare ogni tentativo di gretto accostamento a certe espressioni letterali sopra viste (giustificate solo in bocca al legislatore d'altri tempi); una cui tenace ed ottenebrata applicazione, oggi, non può che considerarsi conseguenza (e quindi vittima) di una lettura figlia di un campo visivo sicuramente ristretto ed inadeguato.
.
***
(**) DOTTORE IN GIURISPRUDENZA
CONSULENTE LEGALE AMBIENTALE
MEMBRO A.N.E.A. n° 335
silvanodiros@email.it – silvanodiros@yahoo.it




(*) Pubblicato in «L’Amministrazione Italiana», 1999, fasc. 10, pag. 1370 – 1379; in www.leggiweb.it (nella sezione articoli del «MENÙ PRINCIPALE»)
1 DI ROSA SILVANO, Industrie insalubri, ma non solo industrie, in «L’Amministrazione Italiana», 1999, fasc. 5, pag. 750 – 760.
2 TAR Lazio, Roma, sez. II, 28 settembre 1992, n° 1924, in «Rivista giuridica dell’Ambiente», 1993, fasc. n° 3/4, 534.
3 TAR Sicilia, Palermo, 4 luglio 1984, n° 1357, in «Trib. amm. reg.», 1984, I, 2901; TAR Lombardia, sez. II, 29 dicembre 1987, n° 629, in «Trib. amm. reg.», 1988, I, 425.
4 TAR Toscana, sez. I, 24 novembre 1998, n° 665, in «Trib. amm. reg.», 1999, I, 233.
5 TAR Liguria, sez. I, 27 novembre 1998, n° 549, in «Trib. amm. reg.», 1999, I, 156.
6 Approvato con D.M. sanità 5 settembre 1994, pubblicato sul S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 288 del 12 dicembre 1994.
7 Di cui 5 di prima classe e 5 di seconda classe.
8 Di cui 67 di prima classe e 2 di seconda classe.
9 Per quanto concerne questa specifica voce si rimanda al precedente lavoro: DI ROSA SILVANO, Anche un effuso può essere classificato come pericoloso – Come abituarsi ad un errore consolidato –, in «L’Amministrazione Italiana», 1999, fasc. 4, pag. 589 – 596.
10 D.M. Interno 21 aprile 1895, «che approva l’ Elenco delle Industrie Insalubri compilato dal Consiglio superiore di Sanità ».
11 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 74 del 30 marzo 1987.
12 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 337 del 9 dicembre 1981.
13 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 9 del 12 gennaio 1977.
14 Vds. DI ROSA SILVANO, Pericolosità delle industrie insalubri: astratta o concreta ? –PRIMA PARTE –, in «L’Amministrazione Italiana», 1998, fasc. 12, pag. 1816 –1828; DI ROSA SILVANO, Pericolosità delle industrie insalubri: astratta o concreta ? – SECONDA PARTE –, in «L’Amministrazione Italiana», 1999, fasc. 1, pag. 115 – 126;
15 Cfr.: TAR Campania – Napoli –, sez. III, 24 febbraio 1999, n. 530, in «Trib. amm. reg.», 1999, I, 1504.
16 art. 64: «Salvo quanto è stabilito dall’articolo precedente, le manifatture, le fabbriche e i depositi di materie insalubri o pericolose possono essere impiantati ed esercitati soltanto nei luoghi e con le condizioni determinate dai regolamenti locali. In mancanza di regolamenti il Podestà provvede sulla domanda degli interessati. Gli interessati possono ricorrere al Prefetto che provvede, sentito il consiglio provinciale sanitario, e se occorre, l’ ufficio del genio civile».
17 Approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 «Testo Unico delle leggi sanitarie», pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia 9 agosto 1934, n° 186.
18 DI ROSA SILVANO, Pericolosità delle industrie insalubri: astratta o concreta ? – PRIMA PARTE –, in «L’Amministrazione Italiana», 1998, fasc. 12, pag. 1822
19 TORREGROSSA Giovanni, voce Industrie pericolose, rumorose e insalubri, in «Enciclopedia Giuridica», Treccani, Roma, 1989, vol. XVI, pag. 1, punto 1.1.
20 Sostenendo implicitamente che tali fattispecie non rientrino fra le tipologie di cui al primo comma dell’ art. 216 del T.U.LL.SS.
21 Ed è a questa particolare situazione che è probabilmente opportuno ricondurre qualche sporadica decisione del giudice amministrativo che richiama ancora oggi tale norma in materia di industrie insalubri. Cfr. TAR Toscana, sez. I, 15 settembre 1990, n° 793, in «Trib. amm. reg.», 1990, I, 3938.
22 GIAMPIETRO Pasquale, Rassegna critica di giurisprudenza amministrativa sugli interventi ambientali ed igienico sanitari delle autorità locali, in «Regione governo loc.», 1985, (5), 47.
23 Secondo l’autore considerata requisito minimo perché si configuri la fattispecie dell’industria insalubre.
24 GIAMPIETRO Pasquale, Rassegna di giurisprudenza amministrativa e penale sulle industrie insalubri (classificazione, disciplina, poteri del sindaco, ecc.) - parte prima -, in «Comuni d'Italia», 1986, n° 12, 1664.
25 TAR Lombardia, Milano, sez. III, 25 ottobre 1983, n° 10, in «Ragiusan - Rass. giur. Sanità», 1984, fasc. n° 4, 136.
26DE MARCO Ignazio, Attività insalubri, inquinamento e giurisprudenza dei T.A.R., in «Foro amm.», 1976, II, 514, I° cpv.
27 TAR Veneto, 26 febbraio 1976, n° 213, in «Trib. amm. reg.», 1976, I, 1352.
28 TAR Piemonte, 6 novembre 1979, n° 501, in «Trib. amm. reg.», 1980, I, 86.
29 33Utilizzata per la classificazione da parte del comune, in quel caso specifico.
34 Come altrettanto fa oggi la voce di prima classe A 70 dell’ elenco approvato con il D.M. 5 settembre 1994.
35 La voce corrispondente nel vigente elenco ministeriale è la Ia B 70 «Idrocarburi: frazionamento, purificazione, lavorazione, deposito (esclusi i servizi stradali di sola distribuzione)»
36 Oggi avremmo una situazione diversa, perché – salvo il caso si tratti di un servizio stradale di sola distribuzione – anche il mero deposito di benzina è considerato e ricompreso fra le attività insalubri, e quindi è classificabile come tale.
37 Come chiaramente indicato dalla giurisprudenza e dalle direttive ministeriali: Cfr. TAR Liguria, 4 maggio 1978, n° 207, in «Trib. amm. reg.», 1978, I, 2744; ed anche Circolare 23 settembre 1971, n° 162, Ministero della Sanità - Direzione Generaledei Servizi di Igiene Pubblica Div. VI, pag. 8, punto 1); e la Circolare 19 marzo 1982, n° 19, prot. n° 403/8.2/459, Ministerodella Sanità - Direzione Generale dei Servizi di Igiene Pubblica Div. III, pag. 4, punto 1).
38 Cosa che oggi non è più possibile, perché la corrispondente voce dell’elenco vigente Ia B 88 contiene le specificazioni«lavorazione, rigenerazione» e non la fase di «deposito».T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 25 ottobre 1983, n° 10 (Vds. nota 25).30 T.A.R. Veneto, 26 febbraio 1976, n° 213 (Vds. nota 27).31 T.A.R. Piemonte, 6 novembre 1979, n° 501 (Vds. nota 28).32 Come altrettanto risulta essere oggi, nel vigente elenco ministeriale approvato con D.M. 5 settembre 1994, alla voce Ia C09.
39 Quindi un errore sostanziale e generale che inficia sempre e comunque un provvedimento di classificazione, qualsiasi sia il tipo di attività che ne risulti oggetto.
40 TAR Piemonte, 6 novembre 1979, n° 501, in «Trib. amm. reg.», 1980, I, 86.
41 MACCOLINI Roberto, commento a: Avicoltura "industria" insalubre , di Cacciavillani Ivone, in «Nuova Rassegna», 1974, I, 43.
42 D.M. Interno 12 luglio 1912, «che approva l’ Elenco delle Industrie Insalubri in riguardo al loro isolamento».
43 Circolare 19 marzo 1982, n° 19, prot. n° 403/8.2/459, Ministero della Sanità - Direzione Generale dei Servizi di Igiene Pubblica Div. III, pag. 4, punto 1).
44 TAR Liguria, 8 novembre 1979, n° 386, in «Trib. amm. reg.», 1980, I, 210.

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LA MAGISTRATURA DEL LAVORO APRE UN FASCICOLO A CARICO DELLA ITALCEMENTI DI MONSELICE PER MORTI SOSPETTE


DOPO ANNI DI IMPEGNO DI INFORMAZIONE ATTIVITA' E DI INDAGINE IL COMITATO CITTADINO LASCIATECI RESPIRARE OTTIENE UN PRIMO SIGNIFICATIVO SUCCESSO FACENDO APRIRE UN’INCHIESTA DA PARTE DELLA MAGISTRATURA DEL LAVORO PER UNA LUNGA SERIE DI MORTI SOSPETTE DI EX DIPENDENTI DELLA ITALCEMENTI.


DALLE CONTINUE RILEVAZIONI EFFETTUATE DALL'ARPA SI E' ACCERTATO CHE LE CONTINUE EMISSIONI DI FUMI NOCIVI E LA PRODUZIONE DI ELEVATI LIVELLI DI INQUINAMENTO ACUSTICO ED AMBIENTALE HANNO ARRECATO GRAVI DANNI AI CITTADINI.


NELL'AREA SI SONO RISCONTRATI FENOMENI DI INQUINAMENTO COSI' GRAVI DA CAUSARE INGENTI DANNI ALLA SALUTE DEI CITTADINI, TANT'E' CHE I TASSI DI INCIDENZA DI TUMORI POLMONARI, TIROIDITE, FORME ASMATICHE E DI ALTRE MALATTIE RESPIRATORIE, ANCHE MORTALI, HANNO RAGGIUNTO LIVELLI ANOMALI E PREOCCUPANTI.

IL RISCHIO AMBIENTALE DOVUTO ALL'INQUINAMENTO DEL SUOLO, DELL'ACQUA, DELL'ARIA E
LE RICADUTE CONNESSE ALLE EMISSIONI PROVENIENTI DAL CEMENTIFICIO INTERESSANO NUMEROSE COMUNITÀ NEL RAGGIO DI ALCUNI CHILOMETRI.

LA MANCANZA DI INDAGINI EPIDEMIOLOGICHE SULLA POPOLAZIONE ESPOSTA ALLE RICADUTE PROVENIENTI DALLE EMISSIONI DEL COMPLESSO INDUSTRIALE, SONO FONTE DI PREOCCUPAZIONE.

"..... mio padre è morto con un tumore al cervello..." dichiara il figlio di Paolo Rando ex dipendente Italcementi


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MA IL PROBLEMA È SEMPRE QUELLO: COME DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE CHE A SCATENARE IL SUO TUMORE SONO STATE LE POLVERI CHE LUI AVEVA INALATO E CHE PROVENIVANO DAL SACCHETTIFICIO DOVE LUI LAVORAVA, E CHE SI SAREBBERO DIMOSTRATE ESSERE FATALI PER LUI ?

A DIMOSTRARE LA RELAZIONE DI CAUSALITÀ DOVREBBE ESSERE L’ANALISI EPIDEMIOLOGICA.

Per questo il Comitato Cittadino Lasciateci Respirare ha chiesto l’istituzione di : una commisione di indagine epidemiologica estesa a tutto il territorio.

Il Comitato Cittadino Isola Pulita nell’esprimere piena solidarietà al Comitato Lasciateci Respirare, ai dipendenti della Italcementi e relative famiglie e all’intera cittadinanza di Monselice, si sta attivando in tutte le sedi di competenza affinché l’indagine della Magistratura del Lavoro SIA ESTESA A TUTTI gli stabilimenti del Gruppo Italcementi a livello nazionale in quanto dai dati a nostra disposizione risulta essere altrettanto grave la situazione sanitaria a Isola delle Femmine.

La discesa in campo dei medici per l’ambiente che hanno dichiarato la loro disponibilità ad essere di supporto tecnico scientifico e di analisi sul territorio delle problematiche sanitarie legate all’ambiente, ci darà l’opportunità di mettere a punto una proposta per l’istituzione di una commissione di indagine epidemiologica sul nostro territorio.

Comitato Cittadino Isola Pulita

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Labels: LA MAGISTRATURA DEL LAVORO ALLA ITALCEMENTI

Anonimo ha detto...

Ciao ho letto il tuo blog, è molto interessante.

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Anonimo ha detto...

Ragazzi, apprezzo l'impegno ma mi sento di dare dei consigli:
1) fornite dati più precisi, il fatto che la temperatura attorno ad una centrale a turbogas aumenti di ALCUNI GRADI in un raggio di CHILOMETRI mi sembra esagerato e quindi va spiegato, dimostrato; il prosciugamento delle falde acquifere si ha solo se l'acqua è prelevata direttamente dal suolo e non acquistata dall'azienda come acqua industriale; anche le altre affermazioni contribuiscono a creare uno scenario apocalittico di grande effetto, ma non sono supportate da spiegazioni.
2) probabilmente avete dei frequentatori molto affezionati in questo blog, che si mettono a leggere articoli lunghissimi infilati col copia-incolla nella pagina dei commenti; io non ci riesco.

Anonimo ha detto...

bene
l'alternativa?
o è la solita cosa del NO! e basta?

Anonimo ha detto...

Ciao...sono rimasto molto colpito dai tuoi articoli e prorpio per questo volevo proporti uno scambio link...dimmi cosa ne pensi qui su questo post che ogni tanto controllo...alla proxima

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Anonimo ha detto...

Vex ferments the humors, casts them into their right channels, throws bad redundancies, and helps cosmos in those hush-hush distributions, without which the association cannot subsist in its vigor, nor the incarnation dissimulate with cheerfulness.

Anonimo ha detto...

Come ogni anno, torietoreri (www.torietoreri.splinder.com) lancia una "Giornata" in cui si riflette su un particolare "valore" di cui oggi si sente la carenza. Quest'anno è stata scelta l'ingenuità. Leggi gli ultimi 4 post di torietoreri e aderisci all'iniziativa. Fra poco sarà pubblicato il "logo" della giornata da "postare" sabato 27 novembre nei nostri rispettivi blog.
Se vuoi, diffondi questa inizaitiva anche ai tuoi "corrispondenti" più vicini. Ciao!

luigi ha detto...

Qui però scusate ma bisogna anche fare un po' di chiarezza. Tranne (forse) il solare termodinamico, che però occupa moltissimo spazio, tutte le forme di creazione (sarebbe meglio dire trasformazione) di energia hanno dei costi in termini ambientali, nessuna esclusa.
Mettendo al primo posto tra le fonti il risparmio energetico, le centrali a turbogas rappresentano uno dei migliori compromessi, attualmente, tra efficienza ed ecologicità. La combustione del gas è certamente migliore di quella del carbone, e ha rendimenti elevatissimi, oltre il 60%. Se il ciclo a valle della turbina a gas è gestito bene, non consuma molta acqua perchè ricicla quella trasformata in vapore che viene fatta ricondensare (ciclo Rankine). Le centrali a biomassa non risolvono il problema delle polveri sottili (FORSE ma FORSE quelle a pirolisi della biomassa potrebbero ridurlo molto) e il fatto che brucino risorse rinnovabili (positivo) si scontra col fatto che però hanno bisogno di quantità tali di biomassa per funzionare che bisogna vedere se dopo qualche anno non ci troviamo in una savana arida dove prima c'erano boschi lussureggianti. Io non so se serva costruire lì una centrale a turbogas, ma se per esempio convertissero quella di Civitavecchia che attualmente va a carbone, sarebbe un enorme passo avanti.

Unknown ha detto...

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Anonimo ha detto...

Hello. And Bye.